I team nel ciclismo sono vere e proprie squadre, dove ogni atleta collabora per arrivare all’obiettivo. Il ruolo dei gregari è importante tanto quanto quello del capitano, scalatore o velocista che sia. Eppure, chi guarda questo sport dall’esterno non ha la percezione di quanto sia importante lavorare insieme per vincere.
Abbiamo chiesto a una leggenda del ciclismo italiano di raccontarci dall’interno i ruoli, i meccanismi che si innescano all’interno delle squadre e alcune curiosità. Lasciamo la parola a Alessandro Petacchi.
Chi non lo pratica ad alti livelli, non ha la percezione del fatto che il ciclismo è un vero e proprio sport di squadra. Perché secondo te?
Alessandro Petacchi: “Chi non pratica ciclismo ad alti livelli non può avere la percezione di questo spirito di squadra. Anche chi fa il cicloamatore normalmente affronta gare brevi, di un giorno, invece fare un grande giro come un Giro d’Italia, un Tour de France o una Vuelta de España è una cosa molto diversa.
All’interno di un team di ciclismo professionistico ci sono molti aspetti difficili da spiegare, poiché può capitare di tutto in un percorso che può essere lungo anche tre settimane. Per esempio, ci sono le tattiche, i movimenti anche in previsione di ciò che possono fare le altre squadre.
Quindi è normale che chi non è stato professionista e non ha potuto partecipare alle grandi corse non abbia la sensazione che il ciclismo sia uno sport di squadra e che non abbia mai provato l’emozione di un risultato che viene ottenuto grazie al lavoro di tutto il team”.
Quali sono i ruoli in un team di ciclismo?
Alessandro Petacchi: “I ruoli nel ciclismo oggi sono tanti. Da un punto di vista dell’organizzazione di una grande squadra, c’è l’apporto di tutti, a partire dal personale d’ufficio, fino a quello dei magazzini. Qui vengono gestiti l’abbigliamento tecnico, le biciclette ecc., a seconda delle gare che dovrà affrontare la squadra.
Poi ci sono i ruoli tecnici. Uno molto importante è l’avant-cours, che precede il gruppo di circa un’ora per controllare il percorso. Questo si fa soprattutto nelle grandi gare a tappe, o nelle gare invernali (specie in Paesi con un clima più ostile, dove conoscere il percorso ti permette di non perdere tempo in gara).
Fondamentale anche il ruolo del Direttore Sportivo, che deve saper leggere e preparare la corsa, e quello dei preparatori atletici. Questi ultimi devono devono saper fare un programma stagionale, che spesso viene interrotto da cadute, incidenti, infortuni ecc.
Per quanto concerne poi i corridori, ci sono alcuni atleti più adatti a fare “il lavoro sporco”, lavorando da lontano. Spesso vengono presi in squadra proprio perché hanno le caratteristiche giuste.
Ad esempio, uno scalatore che deve vincere un grande giro ha bisogno anche di altri corridori (i gregari) che sappiano correre in salita con ritmo sostenuto e stargli vicino. Oggi le gare sono difficili, perché gli atleti hanno preparazione fisica molto simile e usano tecnologie avanzate. Alla fine è la forma fisica individuale ad incidere molto.
Riguardo i ruoli nelle volate, invece, organizzare un treno non è facile. Ogni corridore gioca un ruolo molto importante. Portare il proprio velocista alla fine della gara nella posizione migliore è difficile. Si corre a oltre 60 km/h e il treno deve uscire negli ultimi minuti, quando sbagliare anche di 15 metri rischia di mettere a repentaglio la vittoria”.
Come comunicano tra di loro gli atleti durante una gara?
Alessandro Petacchi: “In quasi tutte le gare si usa la radiolina, quindi la comunicazione è molto semplice. In gare come il campionato del mondo o le olimpiadi invece non si possono usare le radio, perciò bisogna prima pianificare la tattica della gara.
Sono gare tatticamente un po’ più semplici perché si corrono in circuito. Bisogna comunque essere molto attenti e pianificare la corsa. I corridori devono cercare di comunicare a piccoli gesti o con scambi di parole. La comunicazione dipende molto dal feeling tra i compagni di squadra: quando si gareggia per la nazionale si corre insieme ad atleti che fanno parte di altri team, ma la strada per comunicare in modo efficace si trova sempre”.
Quanto è importante durante le gare il ruolo del Direttore Sportivo, che segue il team dall’interno della macchina ammiraglia?
Alessandro Petacchi: “Il direttore sportivo ha un ruolo importante e deve essere carismatico.
Il suo ruolo è di pianificare le gare, e restare poi molto concentrato durante la competizione, dando agli atleti via radio più informazioni possibili, dall’interno dell’ammiraglia.
A mio parere, comunicare molte informazioni è sempre più importante: soprattutto negli ultimi anni si corre molto velocemente grazie alla tecnologia, alle ruote, all’abbigliamento tecnico ecc. Soprattutto se le strade non sono bellissime, è importante per il corridore sapere in anticipo se incontrerà dei pericoli.
Il DS all’interno dell’ammiraglia può anche cercare la collaborazione dei DS delle altre squadre durante una gara cercando di fare una tattica comune, soprattutto nei grandi giri a tappe. Ad esempio, se una squadra è interessata ad avere il leader della classifica generale e un’altra squadra invece vuole vincere una tappa di media montagna, magari si può trovare una collaborazione.
Nelle gare di un giorno questo non può succedere e il ruolo del DS deve essere quello di dare il massimo delle informazioni ai propri corridori, che lottano per la vittoria o per il piazzamento.
Infine, il direttore sportivo deve essere sempre molto presente, anche per intervenire il prima possibile in caso di problemi meccanici in coda al gruppo”.
C’è un’immagine iconica che è l’arrivo al traguardo di Mario Cipollini al Mondiale 2002, dopo un grande lavoro da parte tua e di tutta la squadra. Quanto costa in quei momenti lasciare il passo al capitano, per un atleta agonistico abituato a vincere?
Alessandro Petacchi: “Sì, quella è un’immagine che rimarrà nella storia del ciclismo italiano, perché non è facile vincere un campionato del mondo.
Nel 2002 Mario Cipollini andò forte perché vinse anche la Milano-Sanremo e la Gand-Wevelgem. Io ero già un ciclista affermato, ma avrei dovuto aspettare ancora un anno per vincere battere Mario in una grande corsa. Quindi il fatto che tutta la squadra avrebbe sostenuto Cipollini era stato già pianificato a gennaio. Da professionista, ho accettato di fare il mio dovere e di fare il meglio per la Nazionale.
È chiaro che in quei momenti, quando sai di poter fare bene anche tu, non è semplice. Per un corridore con le mie caratteristiche, con un percorso di quel genere, rinunciare allo sprint perché devi lavorare per un altro sprinter, non è facile. Soprattutto perché un mondiale con un percorso così adatto alle mie caratteristiche era difficile trovarlo.
Ebbi la mia occasione nel 2005, con un altro mondiale con delle caratteristiche abbastanza adeguate alle mie. La settimana precedente avevo terminato la Vuelta vincendo 5 tappe, inclusa l’ultima. Ma mi ammalai proprio in quei giorni, così non arrivai in grandi condizioni al mondiale.
Nel 2022, lo sprint a Zolder sarebbe stato perfetto anche per me, ma nonostante avessi vinto molto in quell’anno non avevo dato ancora garanzie sulle lunghe distanze. Tutta la squadra dell’Italia ha fatto un ottimo lavoro di treno per permettere poi a Cipollini di fare la volata, che lui ha fatto alla grande, battendo McEwen e Zabel.
Erano due grandi campioni, che quell’anno erano alla mia portata e avrei potuto giocarmela. Se quella nazionale avesse lavorato per me forse avrei potuto vincere anche io il mio mondiale, ma per quell’anno c’era quello schema già deciso e non era possibile cambiarlo”.