Il Ciclocross discende direttamente dal ciclismo in strada, anche se viene praticato su terreni ibridi, in parte asfaltati e in parte fangosi o erbosi, in un misto di saliscendi e pianure.
C’è un’immagine che ti farà subito capire di quale sport stiamo parlando: un ciclista che corre con la bici in spalla.
Ciclocross: cos’è?
Il Ciclocross è una disciplina invernale. La stagione ideale per praticarlo va da ottobre a febbraio: in questo periodo le gare di bici su strada sono ferme e molti atleti si dedicano al Ciclocross.
Le gare si svolgono su percorsi brevi. Il terreno è a tratti asfaltato e a tratti fangoso, con rami, rovi, prato, saliscendi e ostacoli. Per questo motivo, per alcuni frangenti, i ciclisti scendono dalle bike e le portano a spalla correndo nel fango. Si tratta della caratteristica più nota e iconica di questo sport.
In ogni gara, gli atleti percorrono il circuito più volte. Anche se i ciclisti partono in linea ai blocchi di partenza, si tratta di una gara a tempo. La durata massima è stabilita dalla giuria.
La pedalata è caratterizzata da variazioni repentine nella pendenza e nella velocità, per questo il Ciclocross richiede doti tecniche e fisiche importanti.
Un buon ciclocrossista infatti ha una padronanza molto avanzata della bicicletta, una grande resistenza fisica, una potenza muscolare molto sviluppata e delle ottime capacità cardio-vascolari.
Le origini
Nei primi anni del ‘900, durante la stagione fredda, i ciclisti interrompevano le competizioni su strada. Per evitare di restare a riposo troppo a lungo, per tutti i mesi freddi, si allenavano a pedalare su prati, terreni fangosi e strade asfaltate. Spesso le impervietà del terreno li costringevano a sollevare la bici e correre sulle gambe.
Era un allenamento molto funzionale per cuore, polmoni, gambe e forza muscolare.
Con il tempo, questa forma di allenamento si è trasformata in una vera e propria disciplina, oggi dotata di un regolamento internazionale (a partire dagli anni ‘40 del ‘900) e di una federazione nota come Unione Ciclisti Internazionali (UCI). Ci sono ancora alcuni ciclisti stradisti che si dedicano a questa attività per allenarsi duramente in off-season.
La nascita ufficiale del Ciclocross si fa risalire al 1902, quando in Francia si sono svolte le prime gare. Sebbene oggi sia uno sport praticato in tutto il mondo, è rimasto ancora molto radicato all’area geografica di provenienza: in Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo è quasi uno sport nazionale. Infatti sono questi i Paesi con il medagliere più pasciuto nelle competizioni più importanti, tra le quali spicca il Mondiale (la prima edizione fu nel 1950). In Italia la disciplina ha un buon seguito e il movimento è in continuo sviluppo.
Ciclocross: bici e corsa con la bike in spalla
Il terreno di gara e il dover sollevare la bike in spalla fanno sì che la bici da ciclocross abbia delle caratteristiche particolari.
Nonostante i saliscendi e la fanghiglia, si usano bici non ammortizzate. Le gare infatti sono brevi ed è richiesto un assetto rigido e veloce.
Tuttavia queste bici devono essere molto manovrabili e leggere, proprio per consentire agli atleti di sollevarle. Perciò i telai sono realizzati in materiali super leggeri come il carbonio con ruote con cerchi e profili in alluminio. Le ruote e i mozzi sono accessori estremamente importanti per le performance della bici in gara, dal momento che da essi dipende l’assetto e la scorrevolezza della pedalata. Delle ruote da ciclocross di qualità enfatizzano le performance dell’atleta ben allenato e fanno fruttare al meglio ogni watt di energia prodotta dal corpo durante la gara.
Ma come si porta una bike in spalla? Semplicemente, infilando la spalla e il braccio nel triangolo principale del telaio e continuando a correre a piedi. Questo gesto tipico del Ciclocross fa di questo sport una disciplina particolarmente dura, che richiede un allenamento faticoso e costante per essere praticata con successo.
Che cosa c’è dietro una ruota da ciclocross e cosa dovresti sapere per scegliere la ruota più adatta alle tue esigenze?
Scoprilo in questa intervista a Andrea Zen, ingegnere Ursus